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La banalità del male

Eichmann a Gerusalemme – Hannah Arendt 1963 – Brani scelti.

“…Parecchi anni fa, ancora sotto l’impressione diretta di quegli avvenimenti, David Rousset, già ospite del campo di Buchenwald, tratteggiò una situazione che, come noi sappiamo, era la stessa in tutti i campi di concentramento: «Il trionfo delle SS esige che la vittima torturata si lasci condurre dove si vuole senza protestare, che rinunzi a lottare e si abbandoni fino a perdere completamente la coscienza della propria personalità. E c’è una ragione. Non è senza motivo, non è per puro sadismo che gli uomini delle SS desiderano il suo annientamento spirituale: essi sanno che distruggere la vittima prima che salga al patibolo […] è il sistema di gran lunga migliore per tenere un popolo intero in schiavitù, assoggettato.» “

“…L’atteggiamento dei tedeschi verso il loro passato, che per oltre quindici anni è stato un rebus per tutti gli esperti di cose tedesche, è venuto in luce con una chiarezza che non poteva esser maggiore: i tedeschi non si preoccupano molto di prendere posizione in un senso o nell’altro, e non trovano gran che da ridire sulla presenza di tanti criminali nel loro paese, dato che nessuno di essi probabilmente commetterebbe un delitto di propria spontanea volontà; ma se l’opinione pubblica mondiale, o meglio quello che i tedeschi, con termine che abbraccia tutti i paesi stranieri del mondo, chiamano das Ausland, si ostina a chiedere che quella gente sia punita, non hanno nulla in contrario, almeno fino ad un certo punto.”

“…A questo punto l’argomentazione della difesa si era pericolosamente avvicinata alla nuovissima tesi antisemitica che poche settimane prima, all’Assemblea nazionale egiziana, era stata esposta con tutta la serietà dal viceministro degli Esteri Hussain Zulficar Sabri: Hitler non aveva colpa dello sterminio degli ebrei; era stato una vittima dei sionisti, i quali lo avevano «spinto a commettere crimini che alla fine avrebbero loro permesso di raggiungere lo scopo – la creazione dello Stato d’Israele»

“…Già prima di entrare nel partito e nelle SS Eichmann aveva dimostrato di avere la mentalità del gregario, e l’8 maggio 1945, data ufficiale della sconfitta della Germania, fu per lui un tragico giorno soprattutto perché da quel momento non avrebbe più potuto esser membro di questo o quell’organismo. «Sentivo che la vita mi sarebbe stata difficile, senza un capo; non avrei più ricevuto direttive da nessuno, non mi sarebbero più stati trasmessi ordini e comandi, non avrei più potuto consultare regolamenti – in breve, mi aspettava una vita che non avevo mai provato» “

“…Il racconto che Eichmann fece in istruttoria di come fu introdotto nel nuovo ufficio, anche se naturalmente distorto (ma non del tutto falso), rievocò questo mondo illusorio e fallace. La prima cosa che accadde fu che il suo nuovo capo, un certo von Mildenstein, il quale a differenza di Eichmann era veramente un ingegnere e di lì a poco passò all’Organisation Todt di Albert Speer, dove si occupò della costruzione di strade, gli fece leggere il libro di Theodor Herzl, Lo Stato ebraico. Dopo la lettura di questo famoso classico sionista, Eichmann aderì prontamente e per sempre alle idee sioniste. Pare che fosse il primo libro serio che avesse mai letto e ne rimase profondamente colpito. Da quel momento, come ripeté più e più volte, non pensò ad altro che a cercare una «soluzione politica» (che significava l’espulsione ed era l’opposto della «soluzione fisica» cioè lo sterminio) e a «porre sotto i piedi degli ebrei un po’ di terraferma» […] A tale scopo cominciò a diffondere il suo vangelo tra i camerati delle SS, pronunziando discorsi e scrivendo opuscoli. Imparò l’ebraico, ma appena un’infarinatura, quel tanto che gli bastava per poter leggiucchiare un giornale yiddish: impresa non difficile, giacché l’yiddish non è altro che un antico dialetto germanico scritto in caratteri ebraici e può essere capito da qualunque tedesco che conosca qualche decina di parole ebraiche. Lesse anche un altro libro, la Storia del sionismo di Adolf Böhm (che al processo confuse continuamente con Lo Stato ebraico di Herzl), e questo fu effettivamente uno sforzo notevole per un uomo che non aveva mai amato la lettura […] Senza scostarsi dalle idee di Böhm, studiò così il sistema organizzativo del movimento sionista, con tutti i suoi partiti, gruppi giovanili e programmi. Non che ora fosse divenuto un’«autorità» in materia; tuttavia i suoi superiori ritennero di poterlo nominare funzionario addetto allo spionaggio in campo sionista. Degno di nota è che la sua preparazione in fatto di problemi ebraici, riguardava quasi esclusivamente il sionismo.
I suoi primi contatti personali con funzionari ebrei, tutti sionisti di vecchia data, furono pienamente soddisfacenti. Eichmann spiegò che la ragione per cui la «questione ebraica» lo affascinava tanto era il proprio «idealismo». Anche quegli ebrei, a differenza degli assimilazionisti, da lui sempre disprezzati, e degli ortodossi, che lo annoiavano, erano «idealisti». Essere «idealisti», secondo Eichmann, non voleva dire soltanto credere in un’«idea» oppure non rendersi rei di peculato, benché questi fossero i requisiti indispensabili; voleva dire soprattutto vivere per le proprie idee (e quindi non essere affaristi) ed essere pronti a a sacrificare per quelle idee tutto e, principalmente, tutti.

“…Il più grande idealista che Eichmann avesse mai conosciuto tra gli ebrei era il dottor Rudolf Kastner; fu con Kastner che egli negoziò al tempo delle deportazioni dall’Ungheria concludendo un accordo in base al quale lui, Eichmann, avrebbe permesso la partenza “illegale” di qualche migliaio di ebrei per la Palestina (i treni erano sorvegliati da poliziotti tedeschi) in cambio di “quiete e ordine” nei campi da cui centinaia di migliaia di altri ebrei venivano avviati ad Auschwitz. Le poche migliaia di persone che si salvarono grazie a quell’accordo, illustri esponenti ebraici e membri delle organizzazioni giovanili sioniste, erano, per dirla con Eichmann, «il miglior materiale biologico». Secondo Eichmann, il dottor Kastner aveva dunque sacrificato i suoi compagni alla sua “idea”, e aveva fatto bene.”

“…Il testo tedesco dell’interrogatorio, registrato su nastro, a cui fu sottoposto durante l’istruttoria e che si protrasse dal 29 maggio 1960 al 17 gennaio 1961 (ogni pagina fu riveduta e approvata da Eichmann) è una vera miniera per lo psicologo – purché questi sappia capire che l’orrido può essere non solo ridicolo ma addirittura comico.”

“…Quanto più lo si ascoltava, tanto più era evidente che la sua incapacità di esprimersi era strettamente legata a un’incapacità di pensare, cioè pensare dal punto di vista di qualcun altro. Comunicare con lui era impossibile, non perché mentiva, ma perché le parole e la presenza degli altri, e quindi la realtà in quanto tale, non lo toccavano.”

“…E quella società tedesca di ottanta milioni di persone si era protetta dalla realtà e dai fatti esattamente con gli stessi mezzi e con gli stessi trucchi, con le stesse menzogne e con la stessa stupidità che ora si erano radicate nella mentalità di Eichmann. Queste menzogne cambiavano ogni anno, e spesso in contraddizione tra loro; inoltre, non erano necessariamente uguali per tutti i vari rami della gerarchia del partito o della popolazione. Ma l’abitudine d’ingannare se stessi era divenuta così comune, quasi un presupposto morale per sopravvivere, che ancora oggi, a vent’anni dal crollo del regime nazista, oggi che ormai il contenuto specifico di quelle menzogne è stato dimenticato, ogni tanto si è portati a credere che il mendacio sia divenuto parte integrante del carattere tedesco.”

“…Ora, aggiunse gli sarebbe piaciuto “rappacificarsi con i nemici di un tempo” – un’idea , questa, già espressa da Himmler durante l’ultimo anno di guerra, e dal leader del “Fronte del Lavoro” Robert Ley, che prima di uccidersi a Norimberga aveva proposto un “comitato di riconciliazione” costituito da nazisti responsabili dei massacri e da ebrei sopravvissuti; ma una idea condivisa anche, cosa incredibile, da molti tedeschi comuni, che alla fine della guerra furono uditi pronunziare frasi quasi identiche. Questo slogan insolente non era più imposto dall’alto; quei tedeschi se l’erano fabbricato da sé, ed era uno slogan vuoto e astruso come quelli su cui tutta la nazione aveva vissuto per dodici anni. Ed è facile supporre che, nel momento in cui esprimevano quel concetto, essi si “esaltassero” al pensiero della loro grandezza d’animo.

“… Servatius disse che l’imputato non era responsabile delle “collezioni di scheletri, sterilizzazioni, uccisioni mediante gas e analoghe questioni mediche“. Il giudice Halevi lo interruppe: « Dottor Servatius, suppongo che Lei sia incorso in un lapsus linguae quando ha detto che l’uccisione mediante gas era una questione medica»; al che Servatius rispose: « Era proprio una questione medica, perché era preparata da medici; si trattava di uccidere, e anche uccidere è una questione medica » […] (Il dottor Servatius s’intende molto di ‘questioni mediche’ del Terzo Reich: a Norimberga difese infatti Karl Brandt, medico personale di Hitler, plenipotenziario per l’igiene e la sanità e capo del programma di eutanasia)”

“…Questo spirito competitivo, che naturalmente garantiva a ogni organismo la fedeltà più assoluta da parte dei suoi membri è sopravvissuto alla guerra; solo che oggi funziona per così dire all’inverso: ognuno cerca di “scagionare” il più possibile quello che fu il proprio organismo a spese di tutti gli altri.”

“…Oswald Pohl, a cui Eichmann doveva rivolgersi per conoscere la destinazione ultima di ogni carico di ebrei. Questa destinazione veniva stabilita in base alla “capacità di assorbimento” dei vari impianti di sterminio e anche in base alla richiesta di manodopera forzata da parte di numerose industrie che, per ragioni di profitto, avevano eretto loro stabilimenti nelle vicinanze di alcuni campi della morte. A parte alcune industrie non molto importanti delle SS, anche complessi famosi come la I.G. Farben, le fabbriche Krupp e le fabbriche Siemens-Schuckert avevano costruito i loro impianti ad Auschwitz e nei pressi di Lublino.”

“…E così, invece di pensare: che cose orribili faccio al mio prossimo!, gli assassini pensavano: che orribili cose devo vedere nell’adempimento dei miei doveri, che compito terribile grava sulle mie spalle!

“…Eichmann o i suoi uomini comunicavano ai Consigli ebraici degli Anziani quanti ebrei occorrevano per formare un convoglio, e quelli preparavano gli elenchi delle persone da deportare. E gli ebrei si facevano registrare, riempivano innumerevoli moduli, rispondevano a pagine e pagine di questionari riguardanti i loro beni, in modo da agevolarne il sequestro; poi si radunavano nei centri di raccolta e salivano sui treni. I pochi che tentavano di nascondersi o di scappare venivano ricercati da uno speciale corpo di polizia ebraico. A quanto constava a Eichmann, nessuno protestava, nessuno si rifiutava di collaborare. “Immerzu farhen hier die Leute zu ihren eigenen Begräbnis” – “qui la gente parte continuamente, diretta verso la propria tomba”, disse un osservatore ebraico a Berlino nel 1943.”

“…Senza l’aiuto degli ebrei nel lavoro amministrativo e poliziesco (il rastrellamento finale degli ebrei a Berlino, come abbiamo accennato, fu effettuato esclusivamente da poliziotti ebraici), o ci sarebbe stato il caos completo oppure i tedeschi avrebbero dovuto distogliere troppi uomini dal fronte. («E’ fuor di dubbio che senza la collaborazione delle vittime ben difficilmente poche migliaia di persone, che per giunta lavoravano quasi tutte al tavolino, avrebbero potuto liquidare molte centinaia di migliaia di altri esseri umani… Lungo tutto il viaggio verso la morte, gli ebrei polacchi di rado vedevano più di un pugno di tedeschi» Così dice Robert Pendorf, e ciò vale ancor più per quegli ebrei che erano portati a morire in Polonia da altri paesi.)”

“…i membri dei Consigli ebraici erano di regola i capi riconosciuti delle varie comunità ebraiche, uomini a cui i nazisti concedevano poteri enormi finché, un giorno, deportarono anche loro

“…Ad Amsterdam come a Varsavia, a Berlino come a Budapest, i funzionari ebrei erano incaricati di compilare le liste delle persone da deportare e dei loro beni, di sottrarre ai deportati il denaro per pagare le spese della deportazione e dello sterminio, di tenere aggiornato l’elenco degli alloggi rimasti vuoti, di fornire forze di polizia per aiutare a catturare gli ebrei e a caricarli sui treni, e infine, ultimo gesto, di consegnare in buon ordine gli inventari dei beni della comunità per la confisca finale. Quei funzionari distribuivano i distintivi con la stella gialla, e in certi casi, come a Varsavia, “la vendita delle fasce da mettere al braccio diveniva un vero e proprio commercio, poiché c’erano fasce comuni di stoffa e fasce di lusso, in plastica lavabile“. Nei manifesti che essi affiggevano – ispirati, ma non dettati dai nazisti – avvertivano ancora quanto fossero fieri di questi nuovi poteri: «Il Consiglio ebraico centrale annunzia che gli è stato concesso il diritto di disporre di tutti i beni spirituali e materiali degli ebrei, e di tutte le persone fisiche ebree» diceva il primo proclama del Consiglio di Budapest. Noi sappiamo che cosa provavano i funzionari ebrei quando divenivano strumenti nelle mani degli assassini: si sentivano come capitani «le cui navi stanno per affondare e che tuttavia riescono a condurle sane e salve in porto gettando a mare gran parte del loro prezioso carico»; si sentivano salvatori che «con cento vittime salvano mille persone, con mille diecimila». Senonché la verità era ancor più mostruosa. In Ungheria, per esempio, il dottor Kastner salvò esattamente 1684 persone al prezzo di circa 476.000 vittime. Per non lasciare la selezione a “caso”, occorrevano “principi sacrosanti” che guidassero “la debole mano umana che scrive sulla carta il nome di una persona sconosciuta e così decide della sua vita o della sua morte”. Ma con questi “sacrosanti principi” chi si sceglieva di salvare? Coloro “che avevano lavorato per tutta la vita per lo zibur”, cioè per la comunità, vale a dire i funzionari e gli ebrei “più illustri” come dice Kastner nel suo rapporto.”

“…Essi erano Geheimsträger volontari, vuoi per assicurare l’ordine e prevenire ondate di panico, come nel caso del dottor Kastner, vuoi per considerazioni “umanitarie” (per esempio quella che “vivere nell’attesa di essere uccisi col gas sarebbe stato soltanto più penoso”), come nel caso del dottor Leo Baeck già caporabbino di Berlino. Al processo Eichmann, un testimone parlò delle tragiche conseguenze di questo tipo di “umanità” – la gente chiedeva volontariamente di essere deportata da Theresienstadt ad Auschwitz e denunziava come “maniaci” coloro che cercavano di spiegare loro la verità.”

“…E noi conosciamo benissimo anche le fisionomie dei capi ebraici del periodo nazista: […] Leo Baeck, colto, fine, educato, il quale credeva che i poliziotti ebraici fossero «più gentili e servizievoli» e più capaci di “tenere l’ordine” (mentre naturalmente erano i più brutali e i più fanatici, dato che per loro era in gioco tutto)”

“…La soluzione finale si era svolta in un’atmosfera soffocante e avvelenata, e vari testimoni dell’accusa avevano confermato, lealmente e crudamente, il fatto ben noto che nei campi molti lavori materiali connessi allo sterminio erano affidati a speciali reparti ebraici; avevano narrato come questi lavorassero nelle camere a gas e nei crematori, estraessero i denti d’oro e tagliassero i capelli ai cadaveri, scavassero le fosse e più tardi riesumassero le salme per far sparire ogni traccia; avevano narrato come tecnici ebrei avessero costruito camere a gas a Theresienstadt e come qui l’«autonomia» ebraica fosse arrivata al punto che perfino il boia era un ebreo.

“…La selezione e classificazione di questi lavoratori, nei campi, era fatta dalle SS, le quali avevano una spiccata predilezione per i criminali; e comunque, non poteva che essere la selezione peggiore. (Ciò vale soprattutto in Polonia, dove i nazisti non solo avevano decimato l’intellighenzia ebraica, ma avevano anche ucciso intellettuali e professionisti non ebrei – in netto contrasto, notiamo, con quella che era la loro politica nell’Europa occidentale, dove tendevano a salvare ebrei illustri da poter scambiare con civili internati o prigionieri di guerra tedeschi; in origine, Bergen-Belsen era stato appunto un campo di «ebrei da scambiare».)

“… Così l’omissione più grave, nel «quadro generale», fu una deposizione che parlasse della collaborazione tra governanti nazisti e autorità ebraiche e che permettesse di porre la domanda: «Perché contribuivate alla distruzione del vostro stesso popolo e in ultima analisi alla vostra stessa rovina?»

“…Eichmann, con le sue doti mentali piuttosto modeste, era certamente l’ultimo, nell’aula del tribunale, da cui ci si potesse attendere che contestasse queste idee e impostasse in altro modo la propria difesa. Oltre ad aver fatto quello che a suo giudizio era il dovere di un cittadino ligio alla legge, egli aveva anche agito in base a ordini – preoccupandosi sempre di essere «coperto» -, e perciò ora si smarrì completamente e finì con l’insistere alternativamente sui pregi e sui difetti dell’obbedienza cieca, ossia sull’«obbedienza cadaverica», Kadavergehorsam, come la chiamava lui.”

“…Buona parte delle spaventosa precisione con cui fu attuata la soluzione finale (una precisione che l’osservatore comune considera tipicamente tedesca o comunque caratteristica del perfetto burocrate) si può appunto ricondurre alla strana idea, effettivamente molto diffusa in Germania, che essere ligi alla legge non significa semplicemente obbedire, ma anche agire come se si fosse il legislatore che ha stilato la legge a cui si obbedisce. Da qui la convinzione che occorra fare anche di più di ciò che impone il dovere.”

“…Quello che Eichmann chiamò un «sogno» fu per gli ebrei un incubo spaventoso: in nessun’altra nazione tanta gente fu deportata e sterminata in così breve tempo: in meno di due mesi partirono centoquarantasette treni che portarono via 434.351 persone rinchiuse in vagoni merci sigillati, cento per vagone, e le camere a gas di Auschwitz pur lavorando a pieno ritmo stentarono a liquidare tutta questa moltitudine.)” [UNGHERIA]

“…Kastner, dal canto suo, che era un vecchio sionista, dopo la guerra si trasferì in Israele e qui fu un personaggio importante fino al giorno in cui un giornalista non pubblicò la storia della sua collaborazione con le SS – al che Kastner rispose con una querela per diffamazione.”

“…Alla fine ci si accordò su una somma di mille dollari, e così 1684 ebrei, compresi i parenti di Kastner, lasciarono l’Ungheria diretti al «campo di scambio» di Bergen-Belsen, da dove poi raggiunsero la Svizzera.”

“…Fu allora che sorse un’«ala moderata» delle SS, formata da uomini così stupidi da credere che per un criminale sarebbe stato un alibi meraviglioso poter dimostrare di non aver ucciso tanta gente quanta ne avrebbe potuta uccidere, e da uomini così furbi da prevedere che presto o tardi si sarebbe tornati a una «situazione normale», dove i soldi e le aderenze avrebbero riacquistato tutta la loro importanza.
Eichmann non si unì a quest’«ala moderata» e, e del resto, se avesse cercato di farlo, probabilmente non sarebbe stato accettato. Non solo si era troppo compromesso ed era troppo conosciuto dati i suoi continui rapporti con funzionari ebraici, ma era anche troppo primitivo per questi «gentiluomini» delle classi alte, istruiti, contro i quelli egli nutrì sino alla fine un sordo e violento rancore. Eichmann era perfettamente capace di mandare a morte milioni di persone, ma era incapace di parlare di simili cose in maniera conveniente, se qualcuno non gli dava una Sprachregelung. A Gerusalemme, dove appunto non c’era nessuno a dargli istruzioni del genere, parlò liberamente di «sterminio», di «assassinio», di «crimini legalizzati di Stato»; disse pane al pane e vino al vino, a differenza di quel che fece il suo difensore il quale, più di una volta, mostrò di sentirsi socialmente superiore a lui.

“…Il male, nel Terzo Reich, aveva perduto la proprietà che permette ai più di riconoscerlo per quello che è – la proprietà della tentazione. Molti tedeschi e molti nazisti, probabilmente la stragrande maggioranza, dovettero esser tentati di non uccidere, non rubare, non mandare a morire i loro vicini di casa, (ché naturalmente, per quanto non sempre conoscessero gli orridi particolari, essi sapevano che gli ebrei erano trasportati verso la morte); e dovettero esser tentati di non trarre vantaggi da questi crimini e divenirne complici. Ma Dio sa quanto bene avessero imparato a resistere a queste tentazioni.”

“…La fine del mondo, anche se piuttosto monotona nel suo funzionamento, ebbe forme e manifestazioni diverse, più o meno quante erano le nazioni d’Europa. Ciò non sorprende lo storico che conosce le travagliate vicende di questo continente e il faticoso sviluppo del suo sistema di Stati; ma stupì grandemente i nazisti, i quali erano sinceramente convinti che l’antisemitismo potesse divenire il comun denominatore che avrebbe unificato tutta l’Europa. Fu un errore grave e costoso. Ben presto si vide che, se non proprio in teoria, almeno in pratica esistevano grandi differenze tra gli antisemiti dei vari paesi. E cosa ancor più fastidiosa, anche se facilmente prevedibile, gli unici ad apprezzare ed esaltare il “tipo” tedesco, radicale, erano proprio quei popoli orientali (gli ucraini, gli estoni, i lettoni, i lituani e in certa misura i rumeni) che i nazisti avevano deciso di considerare orde barbariche “subumane”. Molto meno ostili verso gli ebrei erano poi gli scandinavi (Knut Hamsun e Sven Hedin furono eccezioni) che pure, secondo i nazisti, erano fratelli di sangue dei tedeschi”

“…Si trattò soprattutto, a quanto pare, di saggiare le condizioni politiche generali: vedere cioè se gli ebrei potevano essere costretti ad andare incontro alla loro triste sorte da sé, con i propri piedi, portando piccole valigie nel cuor della notte, senza preavviso; come avrebbero reagito i loro vicini di casa quando al mattino avrebbero scoperto gli alloggi vuoti; e last but not least almeno nel caso degli ebrei di Baden, come avrebbe reagito il governo straniero al vedersi regalare migliaia di «profughi» ebrei. A giudizio dei nazisti la prova fu pienamente soddisfacente. In Germania ci furono alcuni interventi in favore di «casi speciali» (del poeta Alfred Mombert, per esempio, membro del circolo di Stefan George, al quale fu concesso il permesso di partire per la Svizzera), ma in generale la popolazione non avrebbe potuto restare più indifferente. (Fu probabilmente in questo momento che Heydrich capì l’importanza di sceverare dalla massa anonima gli ebrei illustri, e d’accordo con Hitler decise di creare i campi di Theresienstadt e di Bergen-Belsen.)”

“…I nazisti, sempre portati a generalizzare, pensarono di aver dimostrato che gli ebrei erano «indesiderati» dappertutto, e che ogni non ebreo era almeno in potenza un antisemita. Chi dunque si sarebbe infastidito se essi avessero affrontato il problema in maniera «radicale»?
A Gerusalemme, Eichmann, ancora influenzato da quelle generalizzazioni, sostenne più e più volte che nessun paese si era mostrato disposto ad accogliere gli ebrei, e che questo, soltanto questo aveva provocato la grande catastrofe; senza pensare però che gli Stati europei si sarebbero certamente comportati allo stesso modo di fronte a qualsiasi altra «calata» di persone – anche se non ebrei – , se queste fossero arrivate improvvisamente senza un soldo, senza un passaporto, senza neppure conoscere la lingua del paese! Comunque, con infinito stupore dei funzionari nazisti, nelle nazioni europee nemmeno gli antisemiti più accaniti avevano intenzione di essere «coerenti», mostrando invece una deplorevole tendenza a rifuggire dalle misure «radicali».”

“…Theresienstadt ufficialmente fu classificata tra i campi di concentramento, e gli unici a non saperlo (non si voleva urtare la loro suscettibilità, dato che questa «residenza» era riservata ai «casi speciali») erano i suoi ospiti. E per evitare che questi si insospettissero, l’Associazione ebraica di Berlino (la Reichsvereinigung) fu incaricata di stringere con ciascun deportato un accordo per l’«acquisto della residenza» a Theresienstadt. Il candidato trasferiva tutti i suoi beni all’Associazione ebraica, e in cambio questa gli garantiva alloggio, vitto, vestiario e assistenza medica a vita. Quando poi gli ultimi funzionari della Reichsvereinigung furono spediti anche loro a Theresienstadt, il Reich non fece che confiscare gli enormi capitali racchiusi nelle casse dell’Associazione.

“…Perché la realtà è che nel Terzo Reich, almeno negli anni della guerra, non ci fu una sola organizzazione o pubblica istituzione che non fosse implicata in azioni e transazioni criminose.”

“…In realtà, per i Mischlinge e per gli ebrei che avevano contratto matrimoni misti non si decise mai nulla; essi erano protetti da «una selva di difficoltà», come si espresse Eichmann, difficoltà che andavano dal fatto di avere parenti non ebrei al fatto che i medici nazisti, malgrado le loro promesse, non scoprirono mai un sistema rapido per effettuare sterilizzazioni di massa.”

“…L’Olanda fu l’unica nazione d’Europa dove gli studenti avessero scioperato quando i professori ebrei furono congedati e dove si fosse scatenata un’ondata di scioperi per protesta contro la prima deportazione di ebrei in campi di concentramento tedeschi”

“…Benché l’atteggiamento del popolo olandese consentisse a molti ebrei d’imboscarsi (da venti a venticinquemila si salvarono, una cifra alta per un paese così piccolo), grandissimo fu il numero degli ebrei nascosti che vennero scovati, almeno la metà, senza dubbio per colpa d’informatori professionisti e occasionali.”

“…Certo, anche altri paesi d’Europa difettavano di «comprensione per la questione ebraica», e anzi si può dire che la maggioranza dei paesi europei fossero contrari alle soluzioni «radicali» e «finali». Come la Danimarca, anche la Svezia, l’Italia e la Bulgaria si rivelarono quasi immuni all’antisemitismo, ma delle tre di queste nazioni che si trovavano sotto il tallone tedesco soltanto la danese osò esprimere apertamente ciò che pensava. L’Italia e la Bulgaria sabotarono gli ordini della Germania e svolsero un complicato doppio gioco salvando i loro ebrei con un tour de force d’ingegnosità, ma non contestarono mai la politica antisemita in quanto tale. Era esattamente l’opposto di quello che fecero i danesi. Quando i tedeschi, con una certa cautela, li invitarono a introdurre il distintivo giallo, essi risposero che il re sarebbe stato il primo a portarlo, e i ministri danesi fecero presente che qualsiasi provvedimento antisemita avrebbe provocato le loro immediate dimissioni.”

“…I nazisti sapevano bene che il loro movimento aveva più cose in comune con il comunismo di tipo staliniano che col fascismo italiano, e Mussolini, dal canto suo, non aveva né molta fiducia nella Germania né molta ammirazione per Hitler.”

“…Prima del colpo di Stato di Badoglio dell’estate del 1943, e prima che i tedeschi occupassero Roma e l’Italia settentrionale, Eichmann e i suoi uomini non avevano mai potuto lavorare in questo paese. Tuttavia avevano potuto vedere in che modo gli italiani non risolvevano nulla nelle zone della Francia, della Grecia e della Jugoslavia da loro occupate: e infatti gli ebrei perseguitati continuavano a rifugiarsi in queste zone, dove potevano esser certi di trovare asilo, almeno temporaneo. A livelli molto più alti di quello di Eichmann il sabotaggio italiano della soluzione finale aveva assunto proporzioni serie, soprattutto perché Mussolini esercitava una certa influenza su altri governi fascisti – quello di Pétain in Francia, quello di Horthy in Ungheria, quello di Antonescu in Romania, e anche quello di Franco in Spagna. Finchè l’Italia seguitava a non massacrare i suoi ebrei, anche gli altri satelliti della Germania potevano cercare di fare altrettanto. E così Dome Sztojai, il primo ministro ungherese che i tedeschi avevano imposto a Horthy, ogni volta che si trattava di prendere provvedimenti antiebraici voleva sapere se gli stessi provvedimenti erano stati presi in Italia. Il capo di Eichmann, il Gruppenführer Müller, scrisse in proposito una lunga lettera al ministero degli Esteri del Reich, illustrando questa situazione, ma il ministero non poté far molto perché sempre urtava nella stessa ambigua resistenza, nelle stesse promesse che poi non venivano mai mantenute. Il sabotaggio era tanto più irritante, in quanto che era attuato pubblicamente, in maniera beffarda. Le promesse erano fatte da Mussolini in persona o da altissimi gerarchi, e se poi i generali non le mantenevano, Mussolini porgeva le scuse adducendo come spiegazione la loro «diversa formazione intellettuale». Soltanto di rado i nazisti si sentivano opporre un netto rifiuto, come quando il generale Roatta dichiarò che consegnare alle autorità tedesche gli ebrei della zona jugoslava occupata dall’Italia era «incompatibile con l’onore dell’esercito italiano».
Ancora peggio era quando gli italiani sembravano rispettare le promesse. Un esempio lo si ebbe dopo lo sbarco alleato nel Nord Africa francese, quando tutta la Francia venne occupata dai tedeschi eccezion fatta per la zona italiana, nel Sud, dove circa cinquantamila ebrei avevano trovato scampo. Cedendo alle pressioni tedesche, in questa zona fu creato un «Commissariato per gli affari ebraici», la cui unica funzione era quella di registrare tutti gli ebrei presenti nella regione ed espellerli dalla costa mediterranea. Effettivamente, ventiduemila ebrei furono arrestati, ma vennero trasferiti all’interno della zona italiana, col risultato che, come dice Reitlinger, «un migliaio di ebrei delle classi più povere vivevano ora nei migliori alberghi dell’Isère e della Savoia».

“…Verso la fine degli anni trenta Mussolini, cedendo alle pressioni tedesche, aveva varato leggi antiebraiche e aveva stabilito le solite eccezioni (veterani di guerra, ebrei superdecorati e simili), ma aveva aggiunto una nuova categoria e precisamente gli ebrei iscritti al Partito fascista, assieme ai loro genitori e nonni, mogli, figli e nipoti. Io non conosco statistiche in proposito, ma il risultato dovette essere che la grande maggioranza degli ebrei italiani furono «esentati». Difficilmente ci sarà stata una famiglia ebraica senza almeno un parente «iscritto al fascio», poiché a quell’epoca già da un quindicennio gli ebrei, al pari degli altri italiani, affluivano a frotte nelle file del partito, dato che altrimenti rischiavano di rimanere senza lavoro. E i pochi ebrei veramente antifascisti (soprattutto comunisti e socialisti) non erano più in Italia. Anche gli antisemiti più accaniti non dovevano prendere la cosa molto sul serio, e Roberto Farinacci, capo del movimento antisemita italiano, aveva per esempio un segretario ebreo. Certo queste cose accadevano anche in Germania; Eichmann dichiarò che c’erano ebrei perfino tra le comuni SS; ma l’origine ebraica di persone come Heydrich, Milch e altri era tenuta rigorosamente segreta, era soltanto nota a un pugno di persone, mentre in Italia tutto si faceva allo scoperto e per così dire con candore. La chiave dell’enigma è naturalmente che l’Italia era uno dei pochi paesi d’Europa dove ogni misura antisemita era decisamente impopolare, e questo perché, per dirla con le parole di Ciano, quei provvedimenti «sollevavano problemi che fortunatamente non esistevano».
L’assimilazione, questa parola di cui tanto di abusa, era in Italia una realtà. L’Italia aveva una comunità ebraica che non contava più di cinquantamila persone e la cui storia risaliva nei secoli ai tempi dell’impero romano. L’antisemitismo non era un’ideologia, qualcosa in cui si potesse credere, come eri in tutti i paesi di lingua tedesca, o un mito e un pretesto, come era soprattutto in Francia.

“…Quello che in Danimarca fu il risultato di una profonda sensibilità politica, di un’innata comprensione dei doveri e delle responsabilità di una nazione che vuole essere veramente indipendente – «per i danesi […] la questione ebraica fu una questione politica, non umanitaria» (Leni Yahil) – in Italia fu il prodotto della generale, spontanea umanità di un popolo di antica civiltà.”

“…Schafer fu poi processato, dopo la guerra, da un tribunale tedesco. Per aver ucciso col gas 6280 donne e bambini fu condannato a sei anni e sei mesi di carcere.”

“…coloro che si salvarono la pelle al processo di Norimberga e non furono riconsegnati ai paesi dove avevano commesso i crimini, o non sono stati mai più tradotti in giudizio, o hanno trovato presso i tribunali tedeschi la massima «comprensione».

“…Il risultato fu che non un solo ebreo bulgaro era stato deportato o era morto di morte non naturale quando, nell’agosto del 1944, avvicinandosi l’Armata Rossa, le leggi antisemite furono revocate.

“…La popolazione greca assisté con indifferenza, quando addirittura non «approvò» l’operazione, e lo stesso fecero perfino alcuni gruppi partigiani. Nel giro di due mesi tutta la comunità fu deportata; treni partivano per Auschwitz quasi ogni giorno, portando ciascuno da duemila a duemilacinquecento ebrei, in vagoni merci.”

“…in Romania, perfino le SS rimasero sbalordite e in certi casi spaventate di fronte agli orrori dei colossali progrom spontanei, di tipo tradizionale: spesso intervennero per impedire che gli ebrei fossero letteralmente scannati, in modo che l’uccisione potesse avvenire con sistemi che a loro giudizio erano più civili. Non è un’esagerazione dire che già nell’anteguerra la Romania era il paese più antisemita d’Europa.”

“…I principali responsabili ungheresi dei massacri furono tutti processati, condannati a morte e giustiziati. Degli istigatori tedeschi, invece, nessuno tranne Eichmann pagò con più di dieci anni di carcere.

“…Come disse quell’ottima testimone che fu la signora Raja Kagan, il «grande paradosso» di Auschwitz era che i criminali «erano trattati meglio degli altri»: non erano soggetti alla selezione di regola sopravvivevano.”

“…Le misure contro gli ebrei dell’Europa orientale non erano soltanto un prodotto dell’antisemitismo, erano parte integrante di tutta una politica «demografica» che, se la Germania avesse vinto, avrebbe riservato al popolo polacco la stessa sorte degli ebrei – il genocidio. Non è una semplice congettura, poiché in Germania i polacchi erano già obbligati a portare un distintivo dove una «P» sostituiva la stella ebraica: e questo, come abbiamo visto, era il primo provvedimento che la polizia prendeva quando si cominciava ad attuare un programma di sterminio.”

“…Ma la dittatura fa scomparire i suoi avversari di nascosto, nell’anonimato.”

“…Nessuna cosa umana può essere cancellata completamente e al mondo c’è troppa gente perché certi fatti non si risappiano: qualcuno resterà sempre in vita per raccontare.”

“…E’ certo che se le violazioni della convenzione dell’Aja commesse dagli Alleati non furono mai discusse in termini giuridici, fu soprattutto perché il Tribunale militare internazionale era internazionale solo di nome, in realtà era il tribunale dei vincitori”.

“…La verità è infatti che alla fine della Seconda guerra mondiale tutti sapevano che i progressi tecnici compiuti nella fabbricazione delle armi rendevano ormai «criminale» qualsiasi guerra.

“…L’Argentina aveva sempre dimostrato di non avere alcuna intenzione di estradare i criminali nazisti”

“…L’enorme incremento demografico dell’era moderna coincide con l’introduzione dell’automazione, che renderà «superflui» anche in termini di lavoro grandi settori della popolazione mondiale; e coincide anche con la scoperta dell’energia nucleare, che potrebbe invogliare qualcuno a rimediare a quei due pericoli con strumenti rispetto ai quali le camere a gas di Hitler sembrerebbero scherzi banali di un bambino cattivo. E’ una prospettiva che dovrebbe farci tremare.”

“…Ma il guaio del caso Eichmann era che di uomini come lui ce n’erano tanti e che questi tanti non erano né perversi né sadici, bensì erano, e sono tuttora, terribilmente normali. Dal punto di vista delle nostre istituzioni giuridiche e dei nostri canoni etici, questa normalità è più spaventosa di tutte le atrocità messe insieme, poiché implica – come già fu detto e ripetuto a Norimberga dagli imputati e dai loro patroni – che questo nuovo tipo di criminale, realmente hostis generis humani, commette i suoi crimini in circostanze che quasi gli impediscono di accorgersi o di sentire che agisce male.”

“…Ma sebbene la malafede degli imputati fosse manifesta, l’unica prova concreta del fatto che i nazisti non avevano la coscienza a posto era che negli ultimi mesi di guerra essi si erano dati da fare per distruggere ogni traccia dei crimini, soprattutto di quelli commessi dalle organizzazioni a cui apparteneva anche Eichmann. E questa prova non era poi molto solida. Dimostrava soltanto che i nazisti sapevano che la legge dello sterminio, data la sua novità, non era ancora accettata dalle altre nazioni; ovvero, per usare il loro stesso linguaggio, sapevano di aver perduto la battaglia per «liberare» l’umanità dal «dominio degli esseri inferiori», in particolare da quello degli anziani di Sion. In parole povere, dimostrava che essi riconoscevano di essere stati sconfitti. Se avessero vinto, qualcuno di loro si sarebbe sentito colpevole?”

“…La manipolazione dell’opinione pubblica, essendo ispirata da interessi ben precisi, ha di regola obiettivi limitati; tuttavia, se per caso arriva a toccare questioni profonde, sfugge al controllo e conduce a risultati imprevisti o non voluti.”

“…Come spesso avviene nelle polemiche violente e appassionate, gli interessi meschini di certi gruppi, la cui eccitazione è esclusivamente dovuta a motivi concreti e che perciò cercano di travisare i fatti, si sono mischiati ben presto, in maniera inestricabile, ai ragionamenti ispirati di intellettuali che, al contrario, non si interessano minimamente dei fatti e li considerano soltanto un trampolino per lanciare «idee».”

“…Non era una stupido; era semplicemente senza idee (una cosa molto diversa dalla stupidità), e tale mancanza d’idee ne faceva un individuo predisposto a divenire uno dei più grandi criminali di quel periodo. E se questo è «banale» e anche grottesco, se con tutta la nostra buona volontà non riusciamo a scoprire in lui una profondità diabolica o demoniaca, ciò non vuol dire che la sua situazione e il suo atteggiamento fossero comuni. Non è certo molto comune che un uomo di fronte alla morte, anzi ai piedi della forca, non sappia pensare ad altro che alle cose che nel corso della sua vita ha sentito dire ai funerali altrui, e che certe «frasi esaltanti» gli facciano dimenticare completamente la realtà della propria morte. Quella lontananza dalla realtà e quella mancanza d’idee possono essere molto più pericolose di tutti gli istinti malvagi che forse sono innati nell’uomo.”

“…E’ noto che Hitler cominciò la sua operazione di sterminio col concedere una «morte pietosa» agli «incurabili» ed è noto che egli intendeva estendere il programma di eutanasia ai tedeschi «geneticamente imperfetti» (cardiopatici e tubercolotici). Ma a parte ciò, è evidente che questo tipo di sterminio può essere diretto contro qualsiasi gruppo, e che il principio con cui viene effettuata la selezione dipende esclusivamente dalle circostanze. Non è affatto escluso che nell’economia automatizzata di un futuro non troppo lontano gli uomini siano tentati di sterminare tutti coloro il cui quoziente d’intelligenza sia al di sotto di un certo livello.

“…Certo, per chi s’interessa di politica e di sociologia è importante sapere che per sua natura ogni regime totalitario e forse ogni burocrazia tende a trasformare gli uomini in funzionari e in semplici rotelle dell’apparato amministrativo, e cioè tende a disumanizzarli. E si potrebbe discutere a lungo e proficuamente su quel «governo di nessuno» che è in realtà la forma politica nota col nome di burocrazia.”