Epidemie

Photo by Vinicius “amnx” Amano on Unsplash

“Riceviamo lettere strazianti scritte da ammalati che avevano creduto, entrando in un ospedale, di trovare riposo e tranquillità. Costretti dalla infermità ad abbandonare il lavoro, consci del pericolo che essi possono rappresentare per la salute pubblica, hanno creduto che veramente l’ospedale fosse la casa degli ammalati, che nell’ospedale non si debba domandare all’infermo di dimenticare la sua passata attività di cittadino, ma che in lui si veda solo l’infermo, che ha bisogno del soccorso collettivo.

Hanno creduto che i medici fossero solo dei sanitari disinteressati che compiono il loro dovere professionale secondo gli impegni assunti dinanzi a chi li stipendia. Che le infermiere fossero delle donne che di fronte al loro compito dimenticano l’abito che indossano per adempiere l’ufficio che liberamente hanno scelto. E invece…

L’infermità è l’ultima delle preoccupazioni di medici e infermiere. Si cerca di curare la coscienza più che il corpo. Le idee prima del fisico. L’ammalato non entra in un ospedale, entra in un convento. Si tenta il ricatto.

L’infermo non può leggere che i giornali che piacciono ai «superiori». Esaurito nel sistema nervoso, viene esposto a uno stillicidio di insinuazioni, di piccoli rimproveri, che gli amareggiano le lunghe giornate di inattività. Certe malattie consumano la carne e il sangue, ma dànno al cervello una lucidità fantastica, morbosa. L’ammalato acquista una sensibilità spasmodica. Soffre tutte le torture della sua miseria. E gli addetti al suo capezzale gli passano innanzi, freddi, compassati, facendogli sentire enormemente ingrandita la sua miseria. Non bisogna lamentarsi, non bisogna domandare nulla.

L’assistenza, che è un diritto, diventa un regalo, una umiliante carità, che si può e non si può fare. E nessuno controlla, e nessuno obbliga gli stipendiati a compiere il loro dovere, almeno il loro dovere burocratico, se anche non vogliono vellutarlo di cortesia e di umanità.

E i denari che i contribuenti spendono per la salute pubblica, per il sentimento del dovere di solidarietà verso gli infelici, si sperdono in una attività malefica, persecutrice di individui e di idee. E nessun ente responsabile provvede e controlla, e si decide a liberare certi istituti dalle persone indegne che non hanno alcun senso della responsabilità, e non esitano a gettare sulla strada degli infelici che non hanno commesso alcun torto, eccetto quello di avere delle idee,…”

(da “Odio gli indifferenti” di Antonio Gramsci – 7 Gennaio 1918 – Influenza Spagnola)

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